ROMA – I termovalorizzatori sono davvero una minaccia ambientale? Gli esperti dicono che il loro impatto è minimo, riducono la dipendenza dalle discariche e soddisfano il fabbisogno energetico vastissimo. Eppure, c’è chi li considera ancora una grave minaccia ambientale. Dopo l’annuncio di Gualtieri a Roma, che sceglie la via di un termovalorizzatore a gestione pubblica sul modello ben riuscito di Copenaghen, si riapre il dibattito. In una città come Roma, presa d’assalto dei cinghiali e per anni affondata nell’immondizia, sembra non ci sia altra strada. Per il primo cittadino è una scelta “nel segno della sostenibilità e dell’ambiente”, in grado di abbattere le emissioni inquinanti del 45% e di produrre energia per 150.000 famiglie. Sì, perché è un termovalorizzatore e non è un semplice inceneritore: si tratta di un impianto che per alcuni esperti è in linea con il modello dell’economia circolare: trasforma il rifiuto in energia.
Nell’ultimo report dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra) – pubblicato nel 2021 e riferito al 2020 – in Italia sono funzionanti 37 termovalorizzatori (26 nel nord italia, di cui 20 tra Lombardia ed Emilia-Romagna). Si tratta di inceneritori di seconda generazione che convertono il calore ottenuto dalla combustione dei rifiuti non riciclabili in energia elettrica e termica. Gli impianti italiani, secondo Utilitalia, sono in grado di soddisfare il fabbisogno energetico di 2,8 milioni di famiglie. In Francia e Germania ci sono il triplo dei termo valorizzatori rispetto al nostro paese. Un motivo ci sarà. Nessuna realtà metropolitana riesce ancora a gestire i rifiuti in totale assenza di questi impianti. L’EPA, Environmental Protection Agency ha spiegato che un unico metodo di smaltimento rifiuti non è possibile in tutte le circostanze e ha sviluppato una piramide gerarchica di valutazione delle procedure di smaltimento dei rifiuti non pericolosi. Gli obiettivi sono sempre quelli della riduzione del materiale che concorre a produrre rifiuti, il riutilizzo e il riciclo. Il recupero di energia con i termovalorizzatori è stato inserito nella piramide, posizionato al di sopra del trattamento dei rifiuti con deposito in discarica, questo in quanto la combustione confinata e controllata dei rifiuti urbani decresce il volume dei rifiuti solidi da interrare nei siti di discarica e permette anche di recuperare energia dalla loro combustione, divenendo secondo l’EPA una sorgente di energia rinnovabile che riduce le emissioni di carbonio riducendo sia la richiesta di energia da fonti fossili che le emissioni di metano dalle discariche.
RISCHI E SISTEMI PER MINIMIZZARLI
L’incenerimento dei rifiuti può portare, come per altri combustibili solidi, produzione di inquinanti che vengono divisi in tre categorie: gas, prodotti non-combustibili e microinquinanti organici. C’è da dire che gli impianti di nuova generazione riescono a limitare di gran lunga le emissioni nocive.
Un termovalorizzatore produce anche ossidi di carbonio (CO e CO2), gli ossidi dell’azoto (NOX), gli ossidi dello zolfo (SOX) e l’acido cloridrico (HCl) sono gli elementi da tenere sotto controllo. Mentre nella categoria dei microinquinanti si trovano i prodotti che residuano dalla combustione incompleta: principalmente silicati, ceneri, fuliggine e metalli.
Infine, nei microinquinanti organici fanno parte le policlorodibenzodiossine e policlorodibenzofurani (PCDD/F), gli idrocarburi policiclici aromatici (IPA) e i policlorobifenili diossina-simili (PCB).
Al fine di minimizzare le emissioni di sostanze inquinanti, tutti gli impianti di termovalorizzazione devono essere dotati di una sequenza di 3/5 sezioni di abbattimento dei gas, dei microinquinanti e dei prodotti non combustibili. Dunque le missioni non sono tali da creare problemi alla popolazione. Inoltre, i termovalorizzatori presentano camini di emissione dei fumi alti almeno 70 m (alcuni arrivano ad altezze superiore ai 100 m), altezze dei camini efficaci, insieme alle condizioni meteo locali e la situazione orografica, a determinare i fenomeni di diluzione delle emissioni in atmosfera e i livelli di ricaduta degli inquinanti al suolo (immissioni). Generalmente i valori di diluizione sono dell’ordine di 10.000-1.000.000 di volte determinando la potenziale esposizione della popolazione, la dose, estremamente bassa.
Grazie a una serie di aspetti di ottimizzazione dal punto di vista ambientale e igienico-sanitario quali la localizzazione idonea sul territorio, il controllo costante del processo di incenerimento e l’attenta sorveglianza ambientale, i 37 termovalorizzatori presenti in Italia consentono il rispetto delle normative di settore con ampio margine. “C’è un controllo rigido, che impedisce le immissioni al giorno d’oggi – spiega il professore Giuseppe Calò – A Manfredonia e Massafra vengono fatti controlli costanti e non risultano sforamenti sul piano delle emissioni in atmosfera”. La soluzione migliore sarebbe il recupero e il riciclo dei materiali attraverso le nuove tecnologie, ma in questo momento non è facile garantire igiene e salute in una città come Roma.