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La cucina molecolare è il passato: «Il futuro sono le trattorie tipiche». Intervista a Giacomo Bullo, narratore del buon cibo

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Giacomo Bullo – Communication manager ALMA

La cucina italiana aveva bisogno di una scuola di formazione di alta enogastronomia per diffondere ancora di più nel mondo gli «ambasciatori» di uno stile inconfondibile, con i prodotti made in Italy della tradizione. Giacomo Bullo, Communication manager, oggi ci parla del grande lavoro fatto dalla scuola di alta cucina ALMA, per valorizzare il gusto, il mangiar bene, che garantisce longevità e per esaltare la cucina genuina, che punta anche sui valori delle produzioni biologiche e sull’agricoltura sostenibile. Bullo, classe 1991, è pure un cuoco, ma si presenta come «narratore amante del buon cibo in tutte le sue forme ed espressioni». Mente, mani e cuore, la cucina di alto livello deve poter coinvolgere tutte queste dimensioni: in ALMA si insegna a usarle bene, costruendo una narrazione culinaria suggestiva e personalizzata. L’arte del cucinare si affina nelle scuole internazionali di alto livello, dove la sfida è trovare una propria strada che porti a sviluppare il proprio stile.

La Scuola Internazionale di Cucina Italiana è un presidio importante per promuovere il gusto italiano nel mondo: possiamo dire che la sfida è stata vinta. Ad oggi qual è il bilancio?

«Un bilancio positivo perché Alma quest’anno compie vent’anni: un tempo breve rispetto a gradi scuole nel resto del mondo. I numeri dei diplomati di questa scuola di alta cucina sono cresciuti in maniera molto importante: ne abbiamo circa 11.000 in Italia e nel mondo, che sono ambasciatori di quello che può essere definito made in Italy enogastronomico, che sono non solo narratori del buono, ma anche artigiani del buono. Siamo partiti come ‘Scuola Internazionale di cucina italiana’ e oggi possiamo dire che siamo anche una scuola internazionale di ospitalità italiana: dal primo corso solo di cucina, oggi andiamo ad abbracciare tutte le aree dell’ospitalità, dalla pasticceria alla sommellerie, fino al management, gestione dei costi, panificazione, pizza e pasta».

Alma possiamo dire che è una specie di università della cucina, dove si raggiungono i livelli più alti della formazione?

«Abbiamo riempito un vuoto formativo che c’era successivamente all’alberghiero. Subito dopo aver conseguito la maturità alberghiera non c’erano percorsi di studi successivi per migliorarsi, rifinire, affinare gli studi precedenti e raggiungere i livelli più alti della cucina. Questo tipo di scuole c’erano già in Francia e negli USA. Il nostro è un percorso di secondo grado, di ulteriore potenziamento delle competenze. È alta formazione per tutti quei settori che ad oggi non hanno un rimando a una scuola di livello superiore».

⁠L’arte della cucina italiana continua ad affermarsi nel mondo, ma quanto fake made in Italy! C’è bisogno di aprire gli occhi ai consumatori, vero?

«Sì, questo fenomeno dell’italian sounding” (che consiste nell’utilizzo, su etichette e confezioni, di denominazioni, riferimenti geografici, immagini, combinazioni cromatiche e marchi che evocano l’Italia e in particolare, alcuni dei suoi più famosi prodotti tipici e della sua cucina ndr) è un qualcosa che affligge tutto ciò che gravita al di fuori del nostro paese, ma dimostra una forte attrazione per la nostra enogastronomia. Made in Italy spesso si traduce in eccellenza artigiana, ecco perché questo fenomeno della cattiva imitazione si sviluppa nel mondo. C’è stima nei confronti dei nostri prodotti. Vi è questa voglia di andare ad insidiare questo lavoro di artigianalità, di eccellenza e di territorio, perché sono prodotti che arrivano da tradizioni culturali culinarie locali e quindi, nello specifico, proiettate all’interno del mondo. Quindi, sì, c’è questo fenomeno. La nostra idea è quella di dare degli strumenti all’allievo per diventare ambasciatore del prodotto italiano e far conoscere l’autenticità del made in Italy. La pasta può essere mangiata a New York, rispettando i gusti diversi, ma si può ugualmente formare il consumatore a un prodotto finale di grande livello e ben fatto».

Mangiare bene allunga davvero la vita? Oggi si punta molto sulla dieta mediterranea: tutti sono più attenti alla genuinità dei prodotti…

«Noi siamo stati i primi in Italia a lanciare un corso che si chiama Health & Performance Chef, che forma professionisti, nella maggior parte cuochi, che possano lavorare nel campo della salute, del benessere e della performance sportiva. Anche qui andiamo a colmare un vuoto della letteratura, perché spesso l’alta gastronomia non viene accostata allo sport. Lo sportivo a livello agonistico, spesso, non mangia i nutrienti che si discostino da quelli che prescrive il suo nutrizionista. Noi forniamo cuochi e operatori della ristorazione che siano in grado di fare alta cucina salvaguardando la dieta di un atleta, la costruzione di un menu funzionale e contemporaneamente preservare la parte gastronomica culinaria della piacevolezza. Per raggiungere questo obiettivo ci avvaliamo sia di nutrizionisti esperti, come Matteo Pincella, Co-founder e Head of Scientific Board del Master, che è coordinatore del corso, nutrizionista della Federazione Gioco Calcio, ma anche docenti universitari che dialogano con i nostri docenti cuochi sull’elaborazione delle lezioni e su tutto il piano didattico».

⁠⁠Cosa ne pensa dell’agricoltura bio? La cucina italiana di alto livello ha abbracciato i cibi biologici e le buone pratiche della sostenibilità?

«Assolutamente sì. Comunque fa parte della nostra identità culturale. L’Italia si basa sul particolare: l’idea dell’agricoltura biologica tutela il particolare, il prodotto e un modo di vivere l’agricoltura secondo regole precise e scelte che contraddistinguono di più il prodotto rispetto agli altri».

In cosa si distingue la cucina italiana di alto livello rispetto a quella francese?

«La cucina francese e quella italiana sono due mondi diversi fra loro, se vogliamo metterla sulla dimensione territoriale. I francesi sono stati i primi a codificare in maniera precisa e codificabile i loro piatti canonici. L’Italia, dall’alto della cifra stilistica che la distingue,  con la sua vasta biodiversità e il nostro retaggio storico culturale, frutto di commistioni storiche che si sono susseguite nel corso dei tempi, ha fatto sì che si sviluppasse tutta una cucina piena di contaminazioni. Noi siamo il ricettario dei campanili e dei quartieri. Riuscire a discernere quale sia la vera ricetta autentica del tortellino è molto difficile. Questo può diventare un oggetto di discussione… I francesi sono riusciti a codificare molto meglio i loro prodotti. Loro sono molto forti nel riconoscere il valore che ha un prodotto e lo sanno valorizzare. Il più grande cuoco francese ha spiegato che gli italiani avrebbero superato la cucina francese quando si sarebbero resi conto della grandezza dei loro prodotti. Motivo per cui la grande biodiversità italiana rappresenta un vanto. Questo non significa che la cucina francese non mutui tecniche e prodotti dal punto di vista storico culturale nati da diverse commistioni: il celebre macaron, prodotto iconico della pasticceria francese, in realtà fu inventato da un pasticcere italiano che lavorava alla corte di Francia e che riuscì a ottenere un gran  risultato dalla lavorazione della farina di mandorle. Dunque sono sempre due mondi ben distinti (codifica, rigore francese e la tecnica sono tipici) che si influenzano».

 ⁠Cosa ne pensa della cucina molecolare?

«È passato il momento della cucina molecolare o cucina tecno-emozionale, che ha fatto parte della storia della gastronomia internazionale. È stata sicuramente una fase che ha permesso di scoprire una multidimensionalità di ingredienti e ricette».

Qual è la cucina del futuro?

«Al momento stiamo osservando una rinascita della trattoria, della cucina di casseruole: l’Italia è un paese delle grandi cotture delle ‘stufature’. Ci siamo resi conto che queste trattorie e osterie avevano moltissimo da raccontare. Però mi sento di dire che la cucina italiana contemporanea stellata sta vivendo una bellissima fase di intraprendenza da parte di moltissimi giovani che attraverso la tecnica e la consapevolezza del prodotto autentico nella sua parte tradizionale hanno saputo poi esprimerla in una visione contemporanea. Quindi assistiamo a entrambe le due esplosioni positive».

Gaetano Gorgoni