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L’ambientalismo del paesaggio contro quello dell’energia verde: i “no” che ci lasciano indietro sulle rinnovabili

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La rivoluzione verde ha il freno a mano tirato in su. I “no” di Soprintendenze, Ministeri e burocrazie varie frenano la rivoluzione verde, mentre i costi delle bollette lievitano e continuiamo ad essere letalmente dipendenti dai combustibili fossili e dal gas russo. Gli ambientalisti del paesaggio contro quello delle rinnovabili: uno scontro epico che vede in vantaggio i primi. Sì, perché, come abbiamo visto per l’eolico di Taranto, per superare quei “no” ci vogliono decenni. La burocrazia con le sue risposte lente e poco chiare fa passare troppo tempo. Legambiente più volte ha lanciato l’allarme, ma un legislatore atrofico continua a sonnecchiare. Il presidente di Legambiente Ciafani ha spiegato che qualsiasi progetto che riguarda le rinnovabili può essere migliorato e modificato, ma bisogna evitare di frenare impianti che rappresentano la nostra salvezza da una pericolosa dipendenza energetica. Secondo uno studio dell’Osservatorio Regions 2030 del Centro studi  Elemens (con Tommaso Barbetti e Public Affairs Advisor), su 76 pareri rilasciati dal Ministero della Cultura l’86% è di diniego. Troppe teste durante la procedura di Valutazione di impatto ambientale: si esprimono due ministeri. Se tutto è in regola con il Ministero della Transizione Ecologica, le Soprintendenze possono fermare tutto con un “no” per un rischio paesaggistico. Poi ci sono i politici locali che parlano allo stomaco degli elettori e paventano rischi inesistenti, senza nemmeno aver studiato i progetti: il risultato è che si crea un muro contro muro, fatto di esposti in procura, problemi e rallentamenti. Ci sono decine di progetti che hanno ottenuto il via libera dal primo Ministero, ma che ora temono la valutazione paesaggistica, che lascia molta discrezionalità al singolo funzionario.

C’è da dire però che lo studio Regions 2030 mette in luce anche il fatto che molti “no”arrivano per la scarsa qualità dei progetti proposti: nel 70% dei casi si localizza il progetto in zone protette, spesso mancano le analisi geologiche (38% dei casi); assenza di valutazione di impatto su siti di “Natura 2000” 31%; impatto sulla produzione agricola (31%); presenza di molti altri impianti eolici in zona (22%); assenza di analisi puntuali su fauna e uccelli (15%). I “no” arrivano anche quando il progetto non è chiaro e ben sviluppato (15% dei casi), oppure quando l’impianto promette una scarsa efficienza (8%). Ci sono anche i piccoli imbrogli: si presentano tanti impianti frazionati per non sottoporsi  alle procedure di un unico grande impianto (8% dei casi). In ultimo, c’è un 8% di “no” per distanze non rispettate e interferenze con altre attività produttive. A sbloccare decine di progetti rinnovabili ci pensa spesso il Consiglio dei Ministri: a luglio ha dato il via libera a 11 progetti su 12, che a cui il Ministero della Cultura aveva detto “no” (resta bocciato il progetto di San Martino in Pensilis, a Campobasso, per il rischio che possa turbare il paesaggio e le colture della zona molisana). Non bisogna trascurare il fatto che l’eolico ha un forte impatto paesaggistico e, dunque, i progetti devono individuare le zone più idonee. Nella fase del VIA però la Soprintendenza può frenare tantissimo, come avviene per il progetto di centrale eolica a largo di Civitavecchia: si chiede ai proponenti di dimostrare che il paesaggio non venga deturpato dal lato visivo delle navi che passano. Gli impianti eolici che producono più di 30 megawatt e quelli fotovoltaici di oltre 10 megawatt vengono vagliati dai Ministeri, quelli più piccoli, invece, dalle singole Regioni. In 15 anni sono stati presentati progetti per 15300 megawatt, ma l’Italia ha detto “sì” solo a 1300 megawatt. Meno di un decimo, secondo l’autorevole studio di “Regions2030”. Stessi problemi col fotovoltaico: nella maggior parte dei casi si ferma tutto per la necessità di difendere il “pregio paesaggistico” di un territorio. Possibile che invece non si trovi una soluzione (spostamento, ridimensionamento, correzioni) veloce per non frenare una transizione ecologica che ormai non si può più rimandare?