È vero che il nuovo governo spingerà sulle rinnovabili cercando di sconfiggere gli ostacoli burocratici, ma è anche vero che in breve tempo le trivellazioni nel Mare Adriatico potrebbero mettere a rischio l’ecosistema marino. Riparte più violenta di prima la corsa al gas. Un emendamento al decreto Aiuti-ter prevede di spingere la produzione nazionale di gas da pozzi estrattivi nell’alto Adriatico, al largo di Brindisi e in Sicilia. In ballo ci sono 40 miliardi di metri cubi di gas da contendersi con la Croazia, che col metano estratto si sta arricchendo. Il gas che si trova tra il Veneto e la Romagna, nel Canale di Sicilia e, soprattutto, al largo di Gela, non è stato utilizzato per il pericolo di un progressivo abbassamento dei fondali, fenomeno chiamato subsidenza, che richiede un attento monitoraggio. Le motivazioni ambientali oggi vengono tralasciate per raggiungere velocemente l’agognata autonomia energetica. Eppure il nostro mare è una risorsa inestimabile, amata dai turisti di tutto il mondo. Si ha l’impressione che con le trivellazioni non si andrà troppo per il sottile. Nel decreto approvato dal Consiglio dei ministri tra i 5 permessi spicca quella approvato “al largo di Brindisi” e “un altro a largo di Gela e a ridosso della concessione di Argo e Cassiopea” dell’Eni, la cui attività estrattiva è prevista dal 2024 e vale 10 miliardi di metri cubi.
Ci sarebbero cinque aree del Paese dove si prevede ci siano almeno 500 milioni di metri cubi di metano da estrarre: che significa rifornire le imprese più importanti a prezzi bassi. Da Venezia ad Ancona, fino all’Adriatico pugliese ci sono giacimenti di gas. Le trivelle sono pronte, ma anche i ricorsi e le barricate degli ambientalisti, che chiedono una svolta radicale sui fossili.